In tutta Italia, come ogni anno, il 25 aprile si celebra la Festa della Liberazione dal nazifascismo. Una ricorrenza solenne, ma anche viva, che richiama al dovere della memoria collettiva, alla coscienza civile e alla responsabilità democratica. È il giorno in cui l’Italia si specchia nella propria storia, quella fatta di sangue, di sacrifici, di dignità e riscatto. È il giorno in cui il Paese, o almeno parte di esso, ricorda l’alba della democrazia dopo l’orrore della dittatura.
Una data che parla ancora, nonostante tutto
Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro l’occupazione tedesca e il regime fascista. In molte città italiane, da Milano a Torino, partigiani e cittadini insorsero, e fu l’inizio della fine per la guerra sul suolo nazionale. Ma non fu solo la liberazione da un’occupazione straniera: fu la riconquista della dignità nazionale dopo vent’anni di regime e oltre cinque di conflitto.
Un valore da riscoprire ogni anno
A distanza di quasi 80 anni, quel valore – la libertà – sembra non essere più così scontato. In un’epoca dominata da nuove forme di totalitarismo culturale, di intolleranza e revisionismo, il 25 aprile non può diventare una mera commemorazione stanca o un rito di parte. È una festa di popolo, di chi crede ancora che la libertà sia qualcosa per cui valga la pena lottare ogni giorno, con coscienza e verità.
La Resistenza non fu perfetta, ma fu giusta
C’è chi prova ancora oggi a sminuire il valore della Resistenza, a paragonarla ad altri eventi storici o, peggio, a soppesare “i morti di una parte e dell’altra”. Ma la verità storica è una sola: la Resistenza, pur con tutte le sue contraddizioni, fu la lotta di un popolo per liberarsi dall’oppressione, dal razzismo, dalla guerra. Fu il primo atto fondativo della Repubblica e della Costituzione.
Un paese ancora diviso nel ricordare
Eppure, fa male constatare che l’Italia del 2025 è ancora un Paese spaccato quando si tratta di ricordare il 25 aprile. C’è chi preferisce il silenzio, chi scivola su ambiguità imbarazzanti e chi continua a non scegliere da che parte stare. Ma come ha scritto Italo Calvino, “chi tace è complice”.
La Liberazione non è “una parte della storia”: è la storia. Ed è compito di ogni cittadino, di ogni istituzione, delle scuole, della politica, della cultura, far sì che questa data non sia solo una giornata festiva, ma un momento di educazione civile.
Il dovere della memoria
Non possiamo celebrare il 25 aprile senza pensare ai giovani, alle scuole, ai volti di chi oggi rischia di crescere in un mondo dove le parole “fascismo” e “antifascismo” sembrano appartenere ai libri impolverati. Ricordare la Liberazione significa anche costruire una nuova cittadinanza consapevole, capace di riconoscere i segnali di intolleranza, odio e discriminazione.
Libertà è anche responsabilità
Celebrare il 25 aprile oggi vuol dire anche guardarsi attorno e riconoscere che la libertà non è mai acquisita per sempre. È una conquista fragile, da difendere ogni giorno: nella giustizia sociale, nella libertà di stampa, nel diritto al dissenso, nella lotta alla violenza e alle mafie, nella difesa dei diritti umani, dentro e fuori i nostri confini.
Non dimenticare è un atto politico
Che sia sotto la pioggia di una piazza o nel silenzio di una scuola, il 25 aprile ci chiede solo una cosa: non dimenticare. Perché come ha scritto Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. E conoscere vuol dire non lasciare che la storia venga piegata o dimenticata.
Il 25 aprile è il giorno in cui l’Italia ha ricominciato a respirare. E oggi più che mai abbiamo bisogno di quell’aria.