Trincerati dietro il solito ciarpame retorico, utile a rendere completamente vano il tempo dell’ennesimo consiglio comunale, anche sul decreto legge Zan, Falcomatà ed i consiglieri di maggioranza hanno l’unica opinione di sussistere il più a lungo possibile, senza lasciare alcuna impronta del proprio corso (se non quella fossile, delle poltrone) sulla terra che li sostiene e mantiene a prezzo di soldi e stimmate.
Tanto che il radicale Saverio Pazzano, chiedendo una presa di posizione che non arriva, li invita provocatoriamente a votare, piuttosto, la mozione “+Gesù Cristo- ddl Zan” di Massimo Ripepi. E’ chiaro però che il discorso morale sia lontanto come le stelle dal mondo dei politici nostrani. Un mondo fatto di elettori che, se si vuole rendere roccia che sostiene e non sabbia che inghiotte, il vangelo del buon politico di mondo impone di consolidare con la logica del compromesso, della clientela e della tiepidità.
Sbaglia perciò, chi afferma che il tema della Legge Zan sia fuori contesto in una città problematica come Reggio. Il degrado materiale, tangibile nella sporcizia e nella morte dei processi economici e sociali, procede dall’indecisionismo, da una classe dirigente informe, priva di identità morale o politica, capace di stigmatizzare (lo si è visto di recente) una comunità cristiana per far fuori l’avversario politico Ripepi, per poi discettare su questioni di discriminazione e diritti sociali che diventerebbero diritti civili.
La matassa si sbroglia, come sempre, seguendo il filo dell’interesse: non si discute sulla volontà, da parte della sinistra, di inginocchiarsi di fronte alle lobby internazionali. Ma l’astuzia politica consiste nel vendere ai cattolici il ddl Zan come prodotto di tolleranza, impedendo al contempo, col pretesto della laicità, il dibattito su come la legge impedirebbe non solo la libertà religiosa, ma anche quella d’opinione. Si vuole, in altri termini, la benedizione di Dio e di Mammona, in conflitto solo sulla t-shirt del consigliere Ripepi. Mentre nelle logiche politiche, ben abituate all’aberrazione logica, tutto è possibile.
In questo, la politica nazionale non è poi tanto diversa, quanto a ridurre nel nel medesimo “frullatore laico” crocifissi, diritti, famiglia, purché ciò contribuisca, a glorificare la divinità governativa che tutto concede, anzi promette, purché la si voti.
Un tempo, quando alle elementari portare il vocabolario era obbligatorio, qualsiasi scolaretto avrebbe potuto identificare tale meccanismo di seduzione spregiudicata da parte del potere, quel far leva dei “regimi” democratici nel ragionare di pancia delle masse, col classico “potere di “Mammona”. Ma il delegato alla cultura Quartuccio il termine non lo conosce, e googlando di fretta, ha una rivelazione estemporanea: che rimandando alla sfera religiosa, l’uso della parola “mammona” possa essere ritenuto ingiurioso, o illegale in sedi istituzionali.
L’ilarità lascia spazio allo sconcerto quando si capisce come le barzellette di Quartuccio siano prese sul serio dagli altri; nella confusione imperante, basta semplicemente esorcizzare ciò che non si conosce con l’amuleto della “laicità”.
La legge, oggi, non solo ammette l’ignoranza ma con la legge Zan, ma potrebbe promuoverla; l’ignorante o più spesso il furbo di turno potrebbe avere ragione su qualsiasi avversario politico colpevole di essere slegato dai dogmi del pensiero unico. Figurarsi muoversi in politica sulla base di un’etica, spirituale, cristiana.
Politica e religione: Hegel li avrebbe fatti incontrare nella dialettica dello spirito; ma siamo in una buia, torrida, piccola alula consiliare di Reggio Calabria e la buona religione di Giuseppe Marino, ci ricorda che siamo in uno stato “laico” (che non significa ateo: ma Google nemmeno lui soccorre) per cui non sarebbe consono parlare di cose che non si toccano. Inutile parlare di differenza tra etica religiosa e chiesa; del fatto che la stessa Costituzione eretta impropriamente a testo sacro, fu partorita con apporto decisivo di cattolici, e che la distinzione tra Chiesa e Stato è intesa per evitare interferenze politiche tra poteri temporali e non già l’esercizio del potere da parte di uomini di fede.
Del resto, il pensiero unico che impone il ddl Zan sulla scorta di un selvaggio relativismo morale ritenuto evolvente, propone dogmi quali l’intercambiabilità tra sesso e genere, impone la professione della già acquisita libertà sessuale come unico diritto possibile; cancellati i diritti all’occupazione, ad una buona istruzione, ad una capace classe dirigente, il futuro non può che degenerare.
Quando Ripepi tocca i tasti della coerenza, richiamando alla propria coscienza i cattolici, l’aula Battaglia diventa un inferno (fuor di metafora, almeno sotto l’aspetto del calore) e gli animi si infiammano; è un coro di insulti ed improperi, urla e stridore di denti. Solo la volontà di azzittire l’avversario per estinguere il dibattito, prevale. Ed eccoci al nocciolo del problema: rumore delle parole, in democrazia, vince sulla qualità.