La concorrenza di AliExpress, Temu & Co. si fa sentire anche negli acquisti urbanistici. Certo, come sottoprodotto economico sarebbe dovuta costarci meno, la peggio copia cinese di un qualunque arredo da giardino Ikea, beffardamente esposta sulla piazza antistante il Museo della Magna Grecia.
Non tradisce, non tanto la benché minima storicità, quanto una qualsiasi identità, la nuova piazza De Nava, ritratto del degrado culturale ed amministrativo cittadino.
Il design “minimalista” si basa sulla violenta quanto insensata ripetizione di linee parallele da Corso Garibaldi a Via De Nava, come a barrare ciò che è sbagliato e bisogna cancellare. Il tutto secondo la logica più sbrigativa. Per ovviare al dislivello della piazza, si inventa dunque un discesone, un piano inclinato sul quale “surfano” un numero di oggetti random: parallelepipedi anonimi. Sì insomma, tra gli inutili ventagli di vegetazione che sfilano da destra a sinistra, ecco che sono riusciti ad annullare il concetto di piazza. Piazza “De Nada”, cioè “di niente”: significativa espressione dell’annichilimento di una città.
Persino la pavimentazione antistante l’ingresso del museo, in prosecuzione del Corso, procede pressoché ininterrotta, poi si accorge di attraversare piazza, si sgretola in tanti pixel, forse per la velocità dell’ignoranza, e torna a ricomporsi come a farci capire quanto poco solida fosse l’intenzione di restituire una piazza alla città: se un concetto si legge è quello di negazione della piazza che trasforma un Agorà cittadina, storico simbolo della stoica ricostruzione dal disastroso 1908, in una serie di linee di cancellazione. Ci suggeriscono che non dobbiamo fermarci, ma proseguire verso la periferia, bypassando la solenne facciata costruita all’epoca di Piacentini. Quando dietro ogni pietra e ad ogni rapporto tra le forme e gli spazi c’era un concetto ed un dialogo con l’ambiente e la storia. Qui no, è tutto a cubetti e parallelepipedi per economizzare le energie mentali che la professione di architetti ed amministratori richiederebbe.
Quanto ai colori, piacciono il bianco e nero perché si abbinano su tutto. Sottolineano le banalissime linee, gli stessi led da bancarella disponibili sugli scaffali dei “tutto a un euro” sotto casa; la sciatteria dei parallelepipedi e dell’ignobile fontana prefabbricata semicircolare collocata in un angolo a caso, sarà così evidente anche al buio. Finché i led non si fulmineranno, dopodiché il consiglio, sarebbe di spendere mezzo minuto in più all’emporio cinese per capire che comunque esiste una tonalità di luce calda.
Io che ero di passaggio per un evento al museo ho evitato accuratamente di seguire l’evento di inaugurazione, immagino anch’esso saturo di parole prefabbricate, riciclate, senza senso, e sparse come fumo. Ci sarà stata la solita festa in luogo di cenere e cordoglio, piroette per riempire il lasso di tempo, orribilmente vuoto, che intercorre tra un taglio di nastro e l’altro. Il festival della deformità è stato celebrato ancora una volta a sfregio del volto di una bella città.
La politica piatta come il piano inclinato di una ex piazza dove slittano forme senz’anima porta a casa un altro storico stupro dell’immagine cittadina.