Finisce l’era del cinghiale bianco, per il nostro Giuseppe, che lo cavalcava con disinvoltura da dentro un baldacchino, facendo ciao con la manina come unico atto di concessione allaplebereggina abbagliata dal concetto dinobiltà di nascita. La venuta delfanciullo del destinoavrebbe risollevato i popoli ed aperto una nuova era di purezza e innocenza per la città , ma era una falsa profezia. La favola bella, che ieri illuse Reggio, prevedeva slogan ottimistici cadenzati da mesi di ozio filosofico, necessari all’enfant prodigeper elaborarne di nuovi. Ma qualcuno si è accorto della stasi. E non solo a Reggio.
Bisognava fare niente sì, ma senza farsi notare, gli avranno rimproverato dal Partito. E così la balenottera PD, che fagocita qualsiasi cosa in grado di lievitare il suo elettorato, ha inghiottito l’unica persona valida della sua giunta: due piccioni con una fava. Garantirsi cheAngela Marcianònon si occupi di cose periferiche come Reggio, procacciandosi una’altra toppa nuova per rammendare il vecchio vestito renziano e assieme togliere l’ormai impopolare spina svoltistica nel fianco elettorale.
Stracciate le foto delle passeggiate sul lungomare assieme a lui, che l’ha tradito, e gettatele in mare, Falcomatà medita seduto sugli scogli la vendetta per un simile bidone. Tra un selfie ed una lacrima, salta fuori la cosa che proprio il PD non sopporterebbe: un sindaco che lavori davvero.
Il piano è ottimo, ma rimane da vedere come attuarlo. Falcomatà , che tutto è fuorchè uno sprovveduto, gettato senza paracadute da Roma, si accorge della voragine che gli sta sotto, tanto per citare esempi sparsi:Waterfrontmai costruiti, diRoof Gardenraccomandati e cancellati,Aeroportiprossimi alla chiusura,rubinetti secchi,giornalisti punitiper il reato di giornalismo, troppi “non sono stato io” esclamati con le mani nel sacco.
Bisogna allora dare una svolta alla svolta: una rivolta, una specie di lotta di classe in chiave radical.
Il Sindaco non deve apparire scaricato, anzi, dev’essere quel Che Guevara che sa sfidare il gigante del potere, un indomito, un irredentista, quello che mai è stato: un duro.
Così pronuncia l’impronunciabile, e levatosi unaPaciotti, la scaglia contro il carro del Partito in fuga. Si permette di affermare, con toni di inedito “campanilismo”, che “più che Reggio quello inutile è Riggio”. E poi osa ancora di più, con un’iperbole che ammicca all’interpretazione populistica della mafia come male che si innesta nell’indifferenza dello Stato: ” l’AgenziaNazionaleBeni Confiscatinon può andare via, altrimenti non ha più sensoindignarsiper ibaciamanoai boss”.
Dice bene Giuseppe. E’ uno scippo, che l’Agenzia dei Beni Confiscati , cioè la Sede centrale di tutta Italia che era stata portata a Reggio per l’abilità politica delle amministrazioni precedenti (di centro-destra, le quali non hanno solo colpe)si trasferisca a Roma. L’Agenzia, è unica possibilità che la parte onesta di Reggio ha di recuperare il maltolto dalla ‘ndrangheta e piazzare qualche cerotto all’economia locale, alle tante iniziative lodevoli della società civile: dei superstiti, insomma.
Dal momento in cui il centrodestra aveva ottenuto la sede dell’Agenzia a Reggio nel 2010 – inaugurata daMaroni, governoBerlusconi, SindacoGiuseppe Scopelliti- c’erano terreni confiscati che diventavano agriturismi sostenibili, strutture che diventavano centri di servizi al cittadino, centri di cura e accoglienza, cooperative e molto altro. C’era una parte delle ricchezze sottratte a Reggio con sangue, estorsioni, ricatti, paura, che stavano tornando lentamente dalla parte dei buoni. Troppo bello.
Adesso la sede centrale dell’Agenzia si trasferirà a Roma, da dove Ministri che sguazzavano nel fango del Sud, ma che il Sud ha gentilmente catapultato in Parlamento – politici per lo più impegnati tutti questi anni a farsi i cazzi propri (chi ha pensato aMarco Minniti?) schiveranno le nostre pratiche giusto in tempo per continuare a farsi meglio i cazzi propri. L’alternativa a quest’ipotesi sarebbe che facessero un’eccezione per l’Agenzia dei Beni Confiscati – laddove non hanno mosso un dito per tutto il resto – ma si capisce bene che non c’entrerebbe nella curva probabilistica.
Eppure sembra ieri che Falcomatà marciava a passo d’oca dentro il Palazzo della Provincia, tanto per significarci,con slide di vendetta e sottofondo musicale dai peggiori bar dei Caracas, che i giornali sono maligni e superbi, ma lui ed i suoi amici del Lingotto di Torino avrebbero salvato ugualmente il pianeta (bontà loro). Aveva parlato conDelrio, cenato conCarbonee fatto jogging conRenzi, conquistando, così com’era culo e camicia con tutti, importanti risultati, risultati che non avevano (è questa una costante dell’Amministrazione) uno straccio di documento a corredo, essendo del tutto fittizi.
Che il pesce puzzasse dalla testa lo avevano denunciato un paio di consiglieri di minoranza – per la destra quasi estinta,MassimoRipepidi Fratelli d’Italia e dal profondo rosso, qualche compagno delPCI– tutti pesantemente ignorati, vuoi dalla boria di chi si professa apolitico e super-partes (ma da qualchepartessarà pure incentivato allo snobismo inoperoso) e dall’altra dai delusi di comodo, che i figli ce l’hanno fuori e camperanno questi altri anni di pensione dedicandosi alla pesca, alla buona tavola o alle sale scommesse. Cittadinanza attiva, non pervenuta.
La città è malata ma il medico in questo caso è anche peggio. Un Governo capace di far chiudere i musei all’apertura della stagione estiva, non si può umanamente classificare. Dovrebbe sublimare alla vergogna di certi suoi orrori, invece rimane compatto , si trasforma per continuare a rimanere quello che è. Ed ora ci sfila l’Agenzia da sotto gli occhi, lasciandoci il ruffiano imbellettato come capro espiatorio da scorticare vivo per i nostri mali e come triste souvenir dell’illusione che essere azzerati del tutto sia un buon inizio per cambiare . Peggio che un pugno di mosche.
Disarcionato dal cinghiale bianco, Falcomatà si infuria. E minaccia di fare il Sindaco davvero
- 9 Giugno 2017
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