Ogni volta che un’altra donna viene uccisa, puntualmente si grida al patriarcato. Un riflesso ormai automatico, quasi ideologico. Eppure, nessuno sembra davvero interrogarsi su cosa significhi, oggi, quel termine così abusato, storpiato, confuso.
Il patriarcato – quello vero, quello giusto – è un padre che ama, che protegge, che dà la vita per i propri figli. È l’uomo che custodisce, che si fa scudo, che educa al rispetto e all’amore. Il patriarcato non è la cultura del possesso o del dominio, quella è barbarie, non tradizione. Eppure, ogni volta che si consuma una tragedia, ecco la narrazione ideologica prendere il sopravvento: si fa guerra su guerra, violenza su violenza. Si brandisce il dolore come arma per portare avanti una lotta politica che non serve a salvare nessuna vita.
Questa settimana, due giovani donne – Sara Campanella e Ilaria Sula, entrambe ventiduenni – sono state brutalmente assassinate. Due femminicidi, in due città diverse, ma uniti dallo stesso filo rosso di morte e di follia. Sara, accoltellata in pieno giorno a Messina da un ragazzo che la perseguitava da due anni. Ilaria, trovata senza vita in una valigia, uccisa dall’ex fidanzato che non accettava di essere stato lasciato.
Due storie drammaticamente simili, segnate da una spirale di ossessione, controllo, manipolazione. Una spirale che ha trovato il suo epilogo nel sangue. E allora no, non possiamo più parlare solo di “rapporti malati” o di “dramma della gelosia”. Questa è violenza.
Violenza che prende il volto dell’uomo che ti dice “sei mia”.
Violenza che ti scrive mille messaggi al giorno.
Violenza che ti controlla, che ti minaccia, che ti isola.
Violenza che ti uccide, se decidi di andare via.
Gelosia è violenza. Manipolazione è violenza. Ossessione è violenza.
In queste ore, qualcuno proverà a strumentalizzare l’orrore. A usarlo per etichette, per slogan, per dare la colpa a un genere, a una cultura, a un “sistema”. Ma noi diciamo basta a tutto questo. Il grido che deve alzarsi è uno solo: basta violenza. Punto.
Basta silenzi, basta giustificazioni, basta colpevolizzazioni a comando. Basta ignorare il dolore autentico delle famiglie distrutte. Perché Sara e Ilaria non sono “strumenti” di battaglie ideologiche: sono figlie, sorelle, studentesse, esseri umani.
E allora serve una rivoluzione, sì. Ma una rivoluzione dei cuori, delle menti, delle coscienze. Serve tornare a valori sani, radicati, veri. Quelli che Gesù Cristo stesso ha insegnato, parlando ai mariti: «Amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei».
Un amore che protegge, che si dona, che serve. Un amore libero, mai violento. Un amore che non lega, ma libera.
Alle due giovani anime volate via troppo presto, a Ilaria e a Sara, diciamo: volate libere adesso.
E a tutte le donne che ogni giorno combattono per la propria libertà diciamo: continueremo a lottare. Per voi. Per la verità. Per una società che torni a essere giusta, umana, e degna di chiamarsi tale.
Sara Mancini