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GOTHA – Come il massimo della cupola reggina uscì allo scoperto per le diatribe di un bar secondo la ricostruzione del PM Ignazitto

“Ritrovo Libertà”, ma è un coacervo di cosche

Le vicende che ruotano attorno allo storico Bar Malavenda di S.Caterina, alla base dell’inchiesta “Sistema Reggio”, costituiscono solo uno dei momenti dell’enorme impianto, qual è il processo GOTHA, ove si discute dei massimi sistemi della ‘ndrangheta e della sua pervasività all’interno di istituzioni essenziali della società. Tuttavia risultano cruciali per comprendere i meccanismi di intervento tra sfere visibili ed occulte della ‘ndrangheta; e, secondo il PM Ignazitto, svelerebbero il ruolo dell’avvocato Giorgio De Stefano come apice della cupola reggina.

Il capitolo si introduce con il tentativo di acquisire il bar da parte di Antonino Nicolò, detto “pasticcino”, esponente apicale dei Serraino di Arangea e già proprietario del bar “Villa Arangea”. Quella che altrove sarebbe risultata una normale operazione di acquisto di un locale S.Caterina diventa una miccia in grado di far saltare gli equilibri della zona che, dopo la seconda guerra di ndrangheta, è divisa tra i condelliani Stillitano ed i De Stefano – Tegano. Operazione che non viene gradita, soprattutto se ad effettuarla è uno come Nicolò. E’ il febbraio del 2014 quando, all’interno del bar Malavenda, esplode una pipe bomb; episodio al quale segue un secondo attentato con un ordigno identico rimasto esploso. Il messaggio è chiaro e Nicolò si ritira.

INIZIA LA TRATTATIVA CON LE COSCHE

A questo punto, nel teatrino di Sistema Reggio subentra Nicola Nucera (assolto nel processo d’Appello) il quale, benché privo di strumenti economici ed imprenditoriali e, malgrado le due bombe al suo predecessore, rileva il Bar Malavenda, rinominandolo “Ritrovo libertà”: un’insegna i cui termini, quelli della libertà, sono – secondo Ignazitto – l’esatto contrario del programma che, nei fatti, sarebbe seguito.

Si attiva infatti un “socio” di Nucera, Remo Giancarlo, il quale fa il giro delle cosche nell’ottica di trovare accordi. Le ‘ndrine, dal canto loro, piazzano al “Ritrovo” posti di lavoro che costituiscono vere e proprie rappresentanze dei vari boss.

L’INTERVENTO DEL “MASSIMO”

Ad un certo punto, comprendendo come nella ‘ndrangheta cosiddetta “militare” non si sarebbe trovato un accordo, Nucera decide di rivolgersi a colui che ritiene essere “il massimo”, cioè Giorgio De Stefano: “Se parla lui – sono le parole di Nucera – si mettono tutti il muso nel culo e non parla nessuno”.

Ma è Giorgio De Stefano che va a bussare alla porta di Nucera. Poiché, senza accorgersene, Nucera ha toccato delle corde delicate, mettendo in pericolo l’equilibrio criminale di S.Caterina.

“Tertium non datur” –  conclude il PM: o l’imprenditore è vittima, che si accorda perché costretto dalla mafia, oppure – ed è la tesi sostenuta da Ignazitto – vi è accordo, in tal caso, volontario di concorso esterno in associazione mafiosa. Sono Remo e gli imprenditori/cittadini che accettano il patto, figuranti il terzo elemento che consente alla ‘ndrangheta, nella strutturazione rappresentata da Gotha, di sopravvivere.

 

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