Ameremo da impazzire quel luminoso arco splendente, la mostruosità dei due tendini d’acciaio di quattromila e passa tonnellate ciascuno, che reggeranno il profilo alare del Ponte, disegneranno le nuove sagome di Scilla e Cariddi.
Per iniziare, il ponte sopporterà con fierezza cose ben più pesanti dei treni: migliaia di nopontisti di passaggio sui treni ad alta velocità, per esempio.
La leggenda ingegneristica sovrasterà, ma solo per farcela ammirare meglio, quella poetica di Odisseo.
Ameremo un’epica diversa, che parlerà di cantieri e primato inedito e solo in seconda pagina dei diminuiti arresti. Perché il crimine è soprattutto (anche se non solo) disagio socio economico. Tutto il capitolo delle revisioni tecniche è spiegato in maniera più che minuziosa dalla società e lascia adito a pochi dubbi tranne quelli in chiave filosofelettorale.
Passeranno i “Noponte” sulle opere più urgenti, quelle ricordate giusto alla vigilia dell’opera da bloccare; non diranno né “ah” né “bah”, quando vedranno che i trasporti sono completi ed organizzati, che il decrepito Aeroporto dello Stretto è ora pieno di passeggeri, visto che Reggio e Messina sono uno, Milazzo e le Eolie intensamente collegate. Da Taormina a Reggio è un’ora, ed è un’unica oasi turistica intermodale.
Passeranno i “Noponte” sui terremoti, nel vento, tra gli uccelli vivi e vegeti, sul ponte fatto nonostante l’immancabile mafia, fenomeno umano disse qualcuno, che una ceppo di radicali impazziti vorrebbe estinguere come eradicando l’umanità!; andranno a negare altre cose, su e giù dalla Trinacria, senza più le file ai traghetti.
Le università sforneranno professionisti che dovranno fermarsi . Edilizia, cultura, ricettività. La città si dovrà adeguare ai nuovi traffici. Che arrivano come sempre, dopo i collegamenti e non prima. Il panorama più fotografato sarà tra Villa e Ganzirri. Le città viste dall’alto non saranno all’ombra ma alla luce.
Ma prima ancora – se Dio vuole – l’opera resisterà ai veri terremoti: una guerra mondiale ai suoi esordi, l’alternanza politica che sfrutta e spezza sogni e ragioni; la possibilità, di odore complottista, che tale monumento prebellico, nazionale destrorso e “meridionalista”, si risolva, al comando di qualche nefasto influencer, in una rinuncia collettiva in nome del beato ritorno all’età dell’oro contadina.
Quest’ultimo, pressappoco, è il tipico manifesto nihchil-progressista di una fazione felicemente definita “amante dei poveri, tanto che li moltiplica”, la quale facilita con ogni medium vari e variopinti menagrami al fine di reindirizzare i nostri risparmi benaltristi laddove si producono profitti e non scrupoli.
Grossi ostacoli ce ne sono. Il rischio di blocchi sugli espropri sussiste perché, pur escludendo che la Stretto di Messina non sborsi cifre convincenti (sarebbe un autogol da fessi: sul sito ci sono già i piani e la chiarezza come la tempistica delle procedure dovrebbe rassicurare) potrebbero pur sempre vericarsi episodi di resistenza trascendenti l’umana ragione. Ostacoli ne abbiamo. Però “I have a dream”.
Vorrei una casina di cristallo, là sopra, al quattrocentesimo metro dove qualcuno, spero, piazzerà il punto più panoramico del mondo.
Sulle torri alte quattrocento metri: guardare dall’alto e irridere le formiche riduzioniste.
E se venisse un terremoto, che certamente verrà (se non saranno prima le bombe Tsar che ci stiamo cercando a forza) quella vista sarà l’ultima immagine da abbracciare, dall’ultima costruzione a cadere. Transeunte, come tutto, ma con stile, non più decadente: futurista piuttosto.
Cesare Minniti