di Cesare Minniti
Sotto un metro di fango e detriti, riemerso ieri il piccolo corpo di Nicol, due anni di vita su questa terra. Si scrive, ed , un “corpicino”, lo si chiama, ed “piccolo angelo”: qualsiasi considerazione sulla morte che viola la bellezza, l’innocenza, la delicatezza, spezza l’illusione di una vita gentile. L’idea che la nostra condotta ci tenga lontano dalla violenza degli eventi, questa idea sradicata, come sono strati strappati dalla vista, dagli abbracci e dall’amore di un padre e di un marito, oltre che Nicol, anche la bellissima moglie, Stefania, 30 anni, e lo splendido Christian, di 7.
Poi c’ la rivoluzione dei nostri tempi: puoi sfogliare la vita di uno sconosciuto, attraverso i social. A volte puoi rintracciare i motivi, o le avvisaglie, di una tragedia, per imparare ad evitarla. Tracce di violenza, di vizio, di morbosit .
Ma nelle foto di Angelo assieme alla famiglia, non c’ ombra di morte. Solo amore, vita, dolcezza autentica. Una famiglia perfetta: una madre innamorata, figli amati, tenerezza, l’affetto semplice e intenso di persone che – come Angelo scrive nella sua bacheca – credono che la perfezione della persona amata sia nella virt di chi ama e che amare sia la “magia” che rende perfetti. E queste persone amate, sono volate via.
Veniamo spesso trascinati da ritmi che ci rendono superficiali, nell’indifferenza al dolore altrui: per non perdere tempo ad immedesimarci e piangere e consolare, per non turbare la falsa felicit fatta di quieto vivere, di algoritmi, automatismi; per evitare di capire che non c’ differenza tra la fragilit degli altri e la nostra e che bisogna fare spazio soltanto alle cose che contano.
Ma in casi come questo, anche i sassi hanno lacrime. Preghiere, consigli, migliaia quelli riversati sui social per Angelo. Anche se difficile credere che un qualsiasi messaggio di speranza possa aiutare un uomo a cui stato strappato tutto. Dalle viscere. Senza ragione. In un colpo.
Ed in casi come questo, le reazioni possibili sono due. La prima, ed l’unico antidoto alla rabbia ed alla morte, credere in Ges Cristo, che ci ha promesso, per il suo sacrificio, di rivedere i nostri cari. L’altra prendersela con Dio o rinnegarlo, annullando la speranza, per dare sfogo alla rabbia, ai perch cui oggettivamente impossibile dare risposta in questa vita.
E qui viene il miracolo, l’unico, inaspettato, di questa straziante tragedia: avere prova da parte di Angelo che l’amore sa andare oltre la morte e dare certezze: “Loro sono gi qui” ha detto ieri premendo una mano sul petto “Ho creduto nella fede di Dio”. La necessit di avere fede e quella di amare, di continuare ad amare, coincidono e fanno stare in piedi e camminare Angelo contro ogni circostanza. Non questo un fatto da scrivere? La fede di Angelo, che non sta tra le “W” necessarie al giornalista, che scivola via dai titoli di cronaca, un fatto.
Prendersela con Dio, dire che tutto perso, liquidare con “la terra ti sia lieve” tre anime che non possono morire, non sarebbe giusto n realistico. Sarebbe evitare questa grande lezione che Angelo sta dando, quella che si pu sopravvivere per fede ed amare, come lui che ringrazia chi gli accanto, i volontari che hanno scavato con lui per ritrovare i corpi senza vita delle persone amate.
Non accettare questa lezione, significherebbe rifiutare l’idea che la storia di ogni uomo fatta di sofferenze inenarrabili, ma c’ la forza per continuare; rinnegare Dio significherebbe rinnegare la propria capacit di amare, di portare la propria anima e quella dei propri cari oltre la morte, di amare oltre la morte, dandole ragione. E questo si, sarebbe inaccettabile.