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Allagamenti, voragini stradali, alberi sradicati e auto fuori strada. No, non siamo in una puntata di “Cacciatori di tornado” nè tantomeno in Florida dopo un uragano tropicale. Siamo a Reggio Calabria, dove ieri le segnalazioni giunte da ogni angolo della città da parte di cittadini “leggermente irritati” dai disagi causati dalla pioggia della notte precedente, hanno fatto da sfondo ad una situazione paradossale. Anzi tragicomica. Affacciandosi dal balcone di casa (anche in periferia) è stato possibile rivivere la magia dei Mondiali 2006 con code di auto nelle strade secondarie e clacson strombazzanti, un vero carosello, ma il “Popopopopooo” era stato sostituito da imprecazioni e preghiere alle divinità del traffico. Se da un lato ci meriteremmo un Guinness World Record per essere fieramente campioni di “guida imprudente su asfalto bagnato” (un paio di incidenti in un tratto di pochissimi chilometri nell’arco temporale di mezzora), dall’altro dovremmo seriamente interrogarci sulla tenuta delle nostre strade e, ancor, più dovremmo chiederci come possano dei tamponamenti, fortunatamente senza esiti mortali, paralizzare una città per molte ore e dargli un tocco etnico trasformandola in Bombay con le sue celeberrime vie congestionate da risciò e automobili. Defluito il traffico solo a mattinata inoltrata, l’asfalto è riapparso in una forma non certo smagliante, dove la manutenzione è una promessa in stile “lunedì comincio la dieta”, ma nel frattempo è già agosto. Contare le buche è stato come ritrovarsi allo specchio e controllare con desolazione i capelli bianchi, quando giri tra le ciocche e sembra spuntarne sempre uno in più. Reggio sta invecchiando e pure male, ma questo non lo dicono solo le statistiche (che non servirebbero neppure, basta guardarsi attorno e fare una conta di amici e parenti fuori per lavoro e studio) che la vedono tra le città con più alto tasso di emigrazione giovanile: a questo si aggiungono malesseri “psicosomatici” evidenti come la pelle cascante e la sciatteria di chi, depresso nell’anima, si abbandona ad un look trascurato. “Smart” è il tentativo pacchiano e forzato di mettere paillettes, rossetto fucsia e calze a rete ad una donna matura che, invece, avrebbe bisogno di un abito elegante ed un mirato “restauro”, senza necessariamente doversi mascherare per quello che non è e senza essere umiliata con vestiti succinti che non le donano e non si armonizzano con il suo naturale modo d’essere. “Smart” è un tentativo disperato di omologarsi ad altre città senza seguire il buon gusto ma soprattutto il buon senso, dove non serve stra-fare : serve migliorare quello che già c’è e proporre alternative ADEGUATE alla fisionomia della città , a partire dal settore trasporti e le reti stradali. Che poi il reggino, secondo Tom Tom, passi mediamente 100 ore nel traffico è emblematico del fatto che sia insita nella sua natura l’osmosi con il sedile dell’auto e che sì, sulla mobilità c’è un problema culturale oltre che di strade fatiscenti e piccole. Alla prossima pioggia!