Ieri è stata celebrata la Giornata internazionale della Donna, momento di riflessione per ricordare le lotte per i loro diritti, le discriminazioni costrette a subire, le violenze patite. Reggio, insomma, non ha avuto nulla da festeggiare. C’è una notizia che ieri, 8 marzo, è stata buttata lì alla stregua di un cucchiaio lanciato nel lavandino nel cuore della notte dopo aver fatto visita al barattolo di nutella, sperando però facesse meno rumore e passasse in sordina, ma più dolorosa dei sensi di colpa il mattino seguente; più desolante delle condizioni dell’asfalto delle nostre strade; più triste dei carri che a Carnevale hanno sfilato sul Corso Garibaldi e hanno tentato di propinarci come fantasmagorici.
Reggio per mesi ha aspettato “al telefono che non suona mai” come molte ieri sera hanno cantato al karaoke nei locali tra brindisi a iosa e poveri spogliarellisti dati in pasto ai leoni. Una donna illusa da uomini che promettono fedeltà , di amarla, di rispettarla; sedotta e abbandonata, mollata con un semplice messaggino e senza il coraggio di una chiamata.
Dal 27 marzo Alitalia abbandonerà definitivamente l’Aeroporto dello Stretto, una minaccia millantata un po’ di settimane addietro, ora diventata reale come i sei goal del Barcellona al Paris S.G. ieri sera in Champions League. Perdite economiche sono le motivazioni addotte dal vettore, ovviamente privato, come in ogni relazione alla cui base ci sono meri interessi e non amore. Ma qui il fedifrago non è Alitalia che deve rispondere anche alle esigenze del suo portafogli, bensì tutti gli amministratori territoriali che avevano dichiarato con serenate e mandolini sotto la sua finestra di voler fare della città il loro sogno d’amore, l’hanno vestita da regina, città metropolitana di cui rimane solo il titolo nobiliare e nulla più. Una città trattata da amante alla quale si dedica qualche contentino nei ritagli di tempo e promesse per tenerla buona, bistrattata da smanie di fumoso protagonismo politico e niente arrosto. Una Reggio dal cuore imbruttito, zavorrata dalle sue idee per nulla creative, “cinesate” che l’hanno gettata in fondo alla classifica per il bando sui progetti di riqualificazione urbana; costretta ad arrangiarsi e stare a guardare mentre il resto del mondo, e in questo caso altre parti della Calabria, va avanti e fa i propri giochi.
Come in ogni pseudo-relazione, esiste un punto di non ritorno, dopo tanti rospi mandati giù che spingono uno dei partner a troncare e non voltarsi più indietro, dove non bastano più un mazzo di rose, vecchie promesse rispolverate e lacrimuccia compassionevole, dove la fiducia lascia il passo alla rabbia e alla voglia di mettere alla porta lo stronzo. Reggio ha bisogno di uomini politici che la amino davvero, che non giochino a nascondino come le marmotte tra gli anfratti rocciosi sul Gran Sasso, uomini che si assumino di petto le responsabilità e suonino alla sua porta anche sotto il temporale. Reggio ha bisogno di principi azzurri, possibilmente cavallo-muniti visto che di questo passo…