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TROPEA (VV) – “I tri da cruci”, ovvero capire l’incanto di un paese e della sua storia in una festa [VIDEO]

Rendere il connubio di bellezza e cultura diTropea, incantevole borgo della Calabria incastonato sopra un promontorietto di roccia bianca sul Tirreno, non è impresa semplice. L’esperienza di un luogo così denso di sensazioni, non soltanto visive, ma fatte d’aria, sapori e storia, va colta passeggiando per i vicoli, sui lastricati, accarezzando le inferriate, sporgendosi sulle piazze a strapiombo sulle spiagge bianchissime. Miriadi di tonalità d’azzurro sfuggono ai pixel di un qualsiasi schermo di tecnologia presente o futura e scorrono al ritmo assolutamente analogico, quello della natura e del cielo. Bisogna, soprattutto, chiacchierare con qualcuno, tra le seimilacinquecento anime del posto:gente socievole, genuina, accogliente, che porta i lineamenti di tante dominazioni e la fierezza di altrettante rivalse.

Ogni 3 Maggio, a Tropea, si festeggia la più grande di queste vittorie, quella della battaglia diLepanto.Una festa spettacolare, piena della passione e della poesia che scorrono sotto il velo di diffidenza steso sulla Calabria, ma che ogni tanto zampillano fuori. C’è la storia, sublimata in forma di fuochi, musica, danze. Cose che passano inosservate fuori dalle mura: mancando processi o fatti di mafia, i giornali sono assenti. Ma torniamo alla festa ed alla sua storia.

“I tri da cruci”ovvero “I tre della croce”. Croci come quelle del tempietto che si trovava inVia Umberto I, dove si svolge la festa, ma soprattutto come i crocefissi che furono esposti nei vessilli durante la storica battaglia di Lepanto, cruciale per tutto l’occidente, che vide trai protagonisti proprio gli antenati degli abitanti di questo piccolo borgo, avamposto dell’Impero Spagnolo, di cui faceva parte.
Correva l’anno1571ed alla guida del capitanoGaspare Toraldo,più di un migliaio di tropeani – che si distinsero poi per valore militare – partirono per aggiungersi agli altri soldati, più di ottantamila uomini, provenienti dai vari imperi d’occidente andandosi a schierarecontro quelli, altrettanto numerosi, del fronte musulmano. Nel mezzo del Mediterraneo, presso Lepanto, al largo della Grecia, si svolse una delle più imponenti battaglie navali della storia.
Da un lato, Don Giovanni d’Austria a capo della Lega Santa, coalizione delle tredici potenze europee crisitane, dall’altro Lelè Mustafà ,a capo dei turchi ottomanicon i suoi ammiragli, trai più cruenti pirati di tutti i tempi: uno dei tre era il rinnegato, Uluc Alì Pascià (noto come Occhialì o Uccialì) calabrese di Le Castella convertitosi all’Islam per poter uccidere un nemico, napoletano, e che divenne poi famoso per i suoi eccidi sulle coste italiane. Fu l’unico dei tre capitani a salvarsi, perchè la battaglia fu fu vinta dai cristiani, sotto il vessillo della croce. Ed è così che oggi, a Tropea, non si porta il burqa.
Ed è anche per questo cheogni 3 Maggio(quest’anno, eccezionalmente la festa si è stata rinviata ad oggia causa di problemi tecnico-burocratici)vediamole tre crociesposte, ed il resto degli spettacoli pirotecnici ,sullo sfondo di stellate mozzafiato, che non sono fini a se stessi. Le sagome dei cammelli, rappresentano quello usati dai pirati saraceni durante le incursioni contro Tropea, così anche la loro nave sospesa sulla piazza.
Si ringrazia per la vittoria la croce, quella di Gesù Cristo, foriera allora come adesso di liberazione.
Nella festa, i bambini vanno in visibilio; ne incontriamo un paio vestiti da giganti. Una èMata, l’altroGrifone, spiegano. Suonano la”caricatumbula”il ritmo che accompagnerà durante la serata l’animale(“u camiuzzu i focu”, come chiamano la sagoma del cammello) che si spinge tra la folla, che lo accerchia. E’ una lotta tra i tropeani ed il loro nemico, finchè, tra scintille fuochi e volteggi, il male è esorcizzato: l’invasore, le sue navi, i suoi animali sono ridotti in cenere.

Sospesa tra la paura del fuocoe la chiamata al coraggio, sembra essere anche Tropea mentre festeggia, tra assenza di timonieri e silenzio stampa. Un pugno di uomini, quelli del comitato organizzativo, tra mille difficoltà e limiti, è riuscito in qualche modo a tenere in piedi la festa. L’impressione è che questo paese rimanga, come buona parte del Sud, in attesa della prossima Lepanto, quella che veda la cacciata dei nuovi invasori. Non soltanto quelli con la coppola e armati lupara, ma anche gli altri, in giacca e cravatta, che la circondano di letale, ma purtroppo legale indifferenza.

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